Segno, materia, gesto ed altro ancora.
di Leo Strozzieri
Esemplare la ricerca dei quattro artisti espositori nel prestigioso Archivio di Stato di
Pescara: per la temeraria disponibilità linguistica con la quale annunciano innovazioni
che non siano sequenza preordinata delle neoavanguardie, ma anche e soprattutto per
la dedizione incondizionata ad una contemporaneità mirata all'evento futuro, ovvero
per la straordinaria partitura profetica, a cui ogni operatore estetico deve mirare, pena
l'involuzione del suo messaggio artistico.
In mostra abbiamo due linee di ricerca, quella italiana egregiamente rappresentata da
due presenze di rilievo come Vittorio Amadio e Marisa Marconi e quella spagnola con
Pujol Grau Joaquim ed Albert Casals. Labile il confine che differenzia le esperienze
proposte, in virtù del riflesso di una vocazione globalizzante nel campo delle arti visive,
così come in ogni altro settore. Nè va ignorata la comune appartenenza a quella solar-
ità mediterranea e neolatina, che va intuita come codice istintivo di ogni poetica.
Eppure esistono specificità nei testi.
Da un lato Amadio nella sua avveniristica e rivoluzionaria concezione del tempo, iden-
tifica con la liturgia del colore il post-moderno, così come Marconi adotta una
metodologia reinterpretativa della storia, al fine di avanzare ipotesi probanti per una
società ancora in fase progettuale. Comune ai due artisti italiani è dunque la perentori-
età di un pensiero evoluzionistico, che assume pertanto un vago sapore concettuale.
Pujol Grau dal canto suo, anzichè avanzare la pretesa profetica, preferisce affermarsi
come interprete autorevole della realtà/materia, il cui tratto costante è l'energia, che
riesce sovente a colonizzare anche l'immagine, in alcune opere persistente in forma lar-
vale. Se dunque la linea direttrice per Amadio e Marconi era orizzontale, in Grau diven-
ta verticale, come scavo implacabile in profondità, con il bisogno di vincere la resisten-
za della superficie/apparenza e così approdare all'essenza. Sulla stessa lunghezza d'on-
da mi sembra si orienti Albert Casals, che allo scandaglio della realtà/materia dà un
suggestivo programma psicoanalitico. In tal modo fornire definizioni alla materia,
equivale ad autodefinirsi, riducendo quello scarto tra l'uomo e la materia appunto, su
cui faceva perno tutta la filosofia classica.
In Casals c'è un vitale sapore onirico ed una spinta forza provocatoria allorchè quasi
per gioco di prestigio i suoi segni, i gesti in rapida successione tracciano sottili e stiliz-
zate forme totemiche.
Aproposito di segnismo e gestualità, ove si eccettui l'opera di Marisa Marconi che si
colloca sul versante ermeneutico, interpretativo del reale (di qui il rifiuto dell'orgia per
una pacatezza esecutiva espressa con eleganza e notevolissimo afflato lirico), Amadio,
Grau e Casals si muovono entro ben precise coordinate, che vanno dai riferimenti visivi
del muralismo e del graffitismo metropolitano all'attenta meditazione di esperienze
parallele come possono essere quelle di un Tàpies o di un Fautier, o - per riferirci ad
artisti italiani - di un Burri e dello stesso Scialoja.
Ciò che nell'economia referenziale rende autonomi ed originali rispetto ai suddetti
maestri dell'informale i tre artisti di questa mostra, è la quantità e la qualità diversa di
sollecitazioni rispetto a quei modelli: si pensi ad esempio alla specificità massmediale
propria dell'opera di Amadio, ovvero a quel mantenersi aperto al perimetro dell'infor-
matica e della grammatica pubblicitaria, che si rinnova prodigiosamente di giorno in
giorno. Ed ancora si pensi, sempre in chiave pubblicitaria, al fenomeno dell'intermit-
tenza, sottinteso in quel proporsi e celarsi dell'icona dalle tessiture segniche della mate-
ria in Pujol Grau e Casals.