LE TENEREZZE PROTETTIVE DEL BOSCO
da un racconto di: Leo Strozzieri
VITTORIO AMADIO - ESPOSIZIONE DI PITTURA
testo critico di :Armando Ginesi
Gli antichi Greci per dire segno dicevano semèion, dal verbo semàino, che voleva dire spiegare, rivelare, far capire. Foneticamente la parola ha una certa assonanza con seme, che deriva dal latino sèmen. Mi piace fare questo accostamento perchè mi viene da pensare che i segni, lasciati qua e là, sono come semi di saggezza e di sentimento sparsi nel terreno per fruttificare.
I segni degli artisti sono semi speciali diffusi nello spazio e nel tempo e le coscienze dei fruitori sono terreni fertili che li trasformano in senso, emozione, poesia.
Vittorio Amadio è un cantore del segno. Lo traccia libero, qualche volta riconducibile ad un significato, ma molte altre volte autosignificante, bello di per sé, espressivo ed elegante soltanto per ciò che è, senza alcuna referenza formale voluta, al massimo con una referenza occasionale.
Un critico che lo conosce bene, Leo Strozzieri, parla del carattere liberatorio del suo segno che definisce non convenzionale e paradigmatico, il quale, pur vivendo però fino in fondo la crisi dei valori formali, riesce pur sempre a strutturarsi in racconto, certamente spregiudicato ed ermetico, ma proprio per questo con vocalità coinvolgente il lettore sino ad esserne protagonista nellatto interpretativo.
E ermetico il segno di Amadio? lo è perchè non dice di sè altra cosa di quella che è, non rimanda a forma e a significati di altro livello e quindi può apparire come un nascondimento di significati. Ma in realtà non lo è se lo si accetta per quello che davvero è e vuole essere, cioè puro racconto autobiografico, mèra proiezione visiva della sua natura di segno privo di referenze.
Attenzione: vogliamo dire privo di referenze, formali e logiche, definite ad esplicite, perchè, invece, di referenze extraempiriche il segno di Amadio ne possiede tante. Esso infatti rimanda al non routinario, rinvia alle dimensioni alte e assolute dove albergano gli archetipi, dove risiedono le essenze e gli assoluti.
Anche la sua scrittura, quando si accompagna al segno grafico (ma la scrittura non è anchessa un segno grafico?), essendo priva di riferimento semantico e quindi rendendosi indecifrabile, si fa pura autoreferenza, affascinante in quanto misteriosa, dimensione infinita del possibile.
Il segno di Vittorio Amadio è poi anche espressione ludica, momento felice di un gioco. Dice Hans Georg Gadamer che nel gioco si è giocati. Pure l'artista lo è, afferrato allinterno dellinebriante vertigine che il segno-gioco produce e dentro la quale è trascinata anche la nostra coscienza guardante, purchè si presenti allincontro libera da lacci e lacciuoli razionali nonchè dalla loro presunzione di capire. Che cosa? ciò che non si può capire, come larte, come il gioco, come la fantasia, come la poesia.
Immaginiamoci questi segni liberi, primari, divertenti e solari di Amadio come presenze vaganti nellaria, in mezzo al bosco a cui si richiamano tanto il titolo della fantasia quanto quella della mostra. Sono presenze che saltano, corrono e si rincorrono nellerba, tra il fogliame degli alberi, che si nascondono scherzosamente dietro i grandi tronchi, come fossero gli elfi della mitologia nordica; che frusciano e sibilano unendosi alla sinfonia vocale della foresta. Sono frammenti duna magia potente compiuta dallartista; sono segmenti lievi e giocosi della poesia senza luogo e senza tempo. Sono attimi di felicità per chi li ha disegnati e colorati e per tutti coloro che li ammirano, con serenità ed innocenza: come possono farlo i bambini e come dovrebbero farlo gli adulti, se fossero del tutto mondi dal peccato della presunzione di dover capire ad ogni costo anche quanto, per natura, si rivela affascinante proprio perché non ha bisogno di essere capito.
Armando Ginesi