NELLO SPAZIO ASTRATTO ILCUOREDELL'OPERA
Ha detto qualche giorno fa, in un'intervista, Toti Scialoja, ottanta
treenne maestro italiano dell'arte astratto/informale: "C'è uno, stili
smo che impone delle dimensioni a cui tu credi e di cui hai bisogno
per esprimerti, che non corrispondono alla richiesta commerciale.
Uno dice: non dipingo per vendere, non sano un artigiano che pro
duce scarpe. Ma la questione resta. La gente vuole il quadro pic
colo da attaccare sopra il sofà. Ma non coincide con il bisogno
espressivo del pittore. La pittura astratta di gesto ha bisogno di
una dimensione molto ampia, perchè il gesto non è solo del polso
ma di tutto il corpo dell'uomo, ha bisogno di uno spazio, che per
mette il movimento. Se il corpo dell'uomo, si deve esprimere. .. i
quadri...non possono avere le misure di una piccola natura morta".
E più oltre, a ribadire un'idea di pittura, oltre l'oggetto, oltre il con
cetto stesso di spazio: "..Non c'è più la pittura, ma il simbolo esteti
co, proposto come arte. I giovani sano influenzati da quest'idea
duchampiana. Ci, sono dei pittori, ma sono figurativi. Io invece
credo che l'idea dello, spazio espressivo non possa essere che
quello astratto ".
Per quel che ne so io di Vittorio Amadio e della sua arte, trovo che
queste dichiarazioni di Scialoja siano una puntuale definizione
della pittura dell'artista piceno, così come è venuta configurandosi
nell'ultimo quindicennio, quando resosi conto della opportunità di
depurare il suo modo di esprimersi da tutto il bric-à-brac dell'arte
neofigurativa e falsosimbolista, egli ha cercato nella libertà assolu
ta del segno e nel contrappunto del colore sanzionatorio/opposito
rio, la strada di un modo di esprimersi diretto, senza ingombranti
mediazioni. Una filosofia, la sua, non di genere solipsistico, esclu
siva, da hortus conclusus, bensì aperta alle incursioni del pensiero
altrui, nella misura in cui esso è capace di identificarsi con la sca
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turigine del dipinto, con i moti relazionali dell'artista, ma anche con
quel tanto di irrelazionato che ogni opera d'arte custodisce al suo
interno quale misterioso punto di non ritorno. Volendo tradurre in
parole povere questo che, a tutta prima, può apparire come una
caccia al Santo Graal o a qualcosa di simile, in realtà non è che
ciò, nell'opera dell'artista, resta inespresso. Certo, ciascuno di noi,
osservatori imparziali oppure emozionati di questi dipinti, può farsi
carico di una metodologia pittorica che l'artista, per suo conto, non
ha seguito che in minima parte, essendo la sua, come si diceva
ill'inizio, una pittura di gesto.
Ma anche il gesto ha una caratteristica sequenziale che può, con
buona approssimazione, essere ricostruita. Il suo identikit, chiun-
que sia a delinearlo, potrà risultare più o meno vicino al vero, ma
non è questo il metodo più adatto a penetrare nei recessi oscuri
dell'opera d'arte. Lo stesso Amadio, se lo volesse, non sarebbe in
grado di fornire i mezzi necessari a superare le barriere che osta-
colano il nostro cammino verso il "cuore" del dipinto. Per una sem-
plicissima ragione: il "cuore" del dipinto non esiste. Esiste il cuore
dell'artista. Al massimo possiamo, guardando il dipinto, percepirne
i battiti, ma accade di rado, perchè raramente chi guarda dispone
della sensibilità necessaria a porsi in sintonia con le pulsioni del-
l'artista. Ma un artista sincero, che per principio evita di imbozzola-
re i suoi dipinti per non irretire l'occhio del riguardante, attira sem-
pre una particolare empatìa nei confronti dei nei processi (e dei
suoi esiti) creativi. Amadio appartiene a questa rara classe di arti-
sti.
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